di Mario Frongia
Riva spegne 79 candeline. La storia indelebile del mancino hombre vertical e bomber della nazionale e del Cagliari.
Pele aveva detto: “Guardatelo quando parte palla al piede, mette paura!”. Gianni Brera gli aveva cucito addosso Rombo di tuono. Gianni Mura l’ha battezzato Hombre vertical. La sua 11 è stata ritirata. Ed è stato esaltato per il
suo essere rimasto fedele a due colori, il rosso e il blu. Con vista sul Golfo degli Angeli. Lo si ricorda anche per aver fermato il bus che girava per il cuore di Roma con la nazionale campione del mondo a Berlino 2006: a bordo aveva notato imbucati dell’ultim’ora. Tutto d’un pezzo, sempre e comunque. “Non l’abbiamo mai sentito dire una bugia” dicono i figli Nicola e Mauro. Gigi Riva, questo e altro. E non si tratta di sentimentalismo, degli anni che passano, di un calcio che non è più quello di una volta o di un Cagliari che da anni fa rimpiangere il passato vicino e lontano. No, il mancino più letale del pianeta, classe ’44, è e rimane icona indelebile. Cucita a fuoco sulle maglie dei sardi e dei milioni di tifosi, e tifose, sportivi e cittadini che da sempre lo idolatrano. Per essere silenzioso, sofferente, tenace. Onesto e umile. “Somiglio un po’ a voi sardi, per questo ci siamo presi subito” ripete spesso. Eppure, colpaccio di Andrea Arrica, in Sardegna non ci voleva venire. Poi, come tanti altri, non è mai andato via. Neanche per contratti astronomici, vittorie e successi internazionali assicurati con le grandi del pallone. Niet. Cagliari e basta. Ecco, perché si diventa leggende. Ineguagliabili. Piccolo grande modello per chi tira pedate a una palla. Ed esempio per tanti.
Il tripudio made in Sardina. Lo scudetto del ’70 - “Ma ne sarebbero arrivati almeno altri due se Hof non gli avesse fratturato la gamba al Prater di Vienna” dicono in coro i compagni -, la successiva partenza a razzo a San Siro con un 3-1 all’Inter di Mazzola (che sul 3-1 per i rossoblù chiede a Riva “Gigi, fermatevi altrimenti qui ci ammazzano!”, il titolo di campione d’Europa sono alcune delle perle indelebili di una carriera tosta ma breve. Che poi siano passati mezzo secolo dal suo ultimo gol con la maglia azzurra e il suo record di 35 reti in 42 gare sia ancora in vetta alla lista dei cannonieri di sempre con l’Italia, è un altro pezzo di una storia da brivido. Rombo di tuono si è ritirato in un Cagliari-Milan del ’76. Aveva 32 anni. Poi, ha ricoperto incarichi nel club dei Quattro mori e in Nazionale. Quindi, la scuola calcio che ha sfornato anche Nicolò Barella. Il resto è attualità. Con il bel film che lo racconta per la regia di Riccardo Milani, il murale all’ingresso dell’Amsicora, quelli sparsi per la Sardegna - molto efficace quello comparso a Chiaramonti - e, storia di oggi, la statua in mattoncini Lego. Come quelle di Totti e Lewandoski. Quasi un regalo di compleanno al bambino che non è mai stato bambino. L’opera di Maurizio Lampis, noto per aver riprodotto con le costruzioni Piazza San Marco a Venezia e la Fontana di Trevi a Roma, verrà esposta al Museo del Mattoncino Karalisbrick a Cagliari. Gigi la vedrà in anteprima. E vergherà sul piedistallo il suo autografo. Poi, tornerà a passeggiare in terrazza, nella sua casa poco distante da via san Benedetto. Lunghe camminate, l’inseparabile sigaretta, il sorriso spento. Giornate lunghe, ore di tv, sport con tanto tennis e poco calcio, mai il Cagliari. Più forte e intensa l’emozione, e l’orgoglio, datogli dai figli e dalle nipoti. Auguri, Gigi!