Tre morti, un sopravvissuto ed un ergastolo. Potrebbe sembrare il titolo di un film se la storia, purtroppo, non fosse drammaticamente vera. Tutto ebbe inizio in una gelida sera del gennaio 1991, quando un unico killer, secondo la
ricostruzione della magistratura, alle falde del monte Serpeddì trucidò tre persone e ne ferì gravemente un'altra, da lui ritenuta morta. Quella stessa persona che, in seguito, è diventata il testimone chiave di tutta la vicenda e che ha determinato la condanna all’ergastolo di Beniamino Zuncheddu, servo pastore di Burcei. Una verità testimoniale e giudiziaria che, però, non è mai stata ritenuta credibile dai compaesani di Beniamino che, da subito, si sono schierati al suo fianco. Le sentenze, in breve, hanno ritenuto attendibile la deposizione dell’unico sopravvissuto che, nonostante all’inizio avesse raccontato che il killer aveva agito mascherato ed al buio, dopo poco tempo cambiò versione indicando proprio in Zuncheddu l’autore della strage, sostenendo di averlo visto chiaramente in volto. A nulla valsero le dichiarazioni di numerosi compaesani che affermarono di aver visto Zuncheddu in paese quella sera, oltre ad altre numerose incongruenze riportate dal testimone, come per esempio l’impossibilità per Beniamino di sparare con il braccio indicato dal teste, in quanto affetto da una menomazione fisica. La magistratura ha confermato, sino alla Cassazione, l’ergastolo inflitto in primo grado. Una verità giudiziaria che, tuttavia, come già detto, non ha mai convinto i compaesani. Dopo 32 anni di carcere, però, per Beniamino Zuncheddu si è riaccesa la speranza di poter vedere riconosciuta la propria innocenza. Infatti, grazie a delle intercettazioni disposte dalla Procura di Cagliari, il testimone chiave, parlando con la moglie, ha sostanzialmente ammesso che il riconoscimento di Beniamino come autore della strage sarebbe stato indotto, mostrando al sopravvissuto una foto dello stesso Beniamino da parte di un inquirente. La prova regina, insomma, sarebbe stata quantomeno "facilitata". Martedì la Corte d’Appello di Roma si riunisce, quindi, per valutare questi nuovi elementi e per decidere le sorti di un ergastolano ritenuto da tutto il suo paese innocente. A Roma, in segno di solidarietà sarà presente anche il Sindaco Simone Monni e numerosi concittadini di Burcei. Il parroco Don Giuseppe Pisano ha mandato una lettera al Pontefice che, in una successiva telefonata allo stesso parroco, ha garantito la sua vicinanza e preghiera. A Burcei, sempre martedì mattina, la popolazione, salvo chi sarà impossibilitato per motivi di studio o lavoro, manifesterà in piazza aspettando notizie positive da Roma. Un intero paese, insomma, aspetta di riabbracciare un proprio compaesano da 32 anni carcerato e chiede semplicemente che venga finalmente liberato in quanto, da troppo tempo, si ritiene subisca una pena ingiusta.