La squadra di Ranieri debutta in trasferta con i granata. Ranieri è sul pezzo ma ribadisce l'assenza di tre pedine chiave
Mario Frongia
Messo in freezer il prezioso passaggio del turno in Coppa - con il Palermo non era per nulla scontato: il 2-1 nell'extratime spiega molto delle zone d'ombra del club - per Claudio Ranieri e i suoi c'è il Torino. Meglio, il Cagliari va in casa dei granata per un debutto che non è dei più semplici. L'esordio in campionato, a seguire arriva l'Inter alla Domus, scomoda da sempre tutte le attenuanti del caso: rosa incompleta, nuovi da integrare al meglio, infortunati da recuperare, condizione psicofisica da riassestare. Poi, ci sarebbe anche la tattica, la disposizione in campo, l'esecuzione degli input firmati da sir Claudio. Ma, a tre giorni dal Toro - lunedì alle 18.30 - il piatto sul tavolo va oltre i 3 punti in palio. L'allenatore che ha griffato per l'eternità la leggenda Leicester, chiede da una conferenza all'altra pedine immediatamente spendibili.
Due centrali difensivi e una punta sono gli obiettivi messi nero su bianco dal tecnico di San Saba, mini frazione del quartiere Testaccio. Eppure, nonostante un'appetitosa girandola di nomi, la spesa decisa dal patron non ha portato risposte precise. Certo, gli arrivi di Augello, Scuffet, Oristanio e Sulemana, già in palla e pronti all'uso, mentre Jankto e Shomurodov non sono ancora al top, sono stati un buon approccio alla categoria. La firma di Prati, 2003 preso a titolo definitivo dalla Spal, è un buon passo verso il futuro. Tutto bene, dunque. Però, Ranieri è ancora a bocca asciutta. E deve digerire i forfait per diversi mesi di Lapadula e Mancosu, oltre a Rog fuori causa per l'intera stagione. Più di un motivo per stare in allerta. Anche perché nel calcio, e nella quotidianità, chi ha tempo non deve darsi tempo: "In B se sbagli dietro, possono anche perdonarti. In A, no, ti castigano!" è stata l'avvertenza dell'allenatore romano che dopo il miracolo promozione, a 71 anni, ha spiegato che allenare il Cagliari sarà il suo ultimo treno. "Ma se arrivasse la proposta da una nazionale di pregio, ci farei un pensierino: com'è andata con la Grecia, dopo nove allenamenti e quattro partite tanto da non aver conosciuto nemmeno i giocatori, non lo ricordo con piacere". Il passaggio dell'addio di Mancini agli Azzurri capita nel momento sbagliato. Peccato, perché della saggezza, della serietà, della competenza e del bagaglio motivazionale di Ranieri, anche l'Italia pallonara ne avrebbe potuto giovare. Ma questa è un'altra storia. Quella attuale riguarda la risalita in A. L'aver riportato il Cagliari nel massimo campionato dopo averlo preso che navigava più vicino alla coda della B che ai play off, è da monumento dello sport. A maggior ragione la società - tenuto conto del tesoretto di circa sedici milioni arrivato da Cragno, Marin, Bellanova e altri, oltre ai lauti bonifici dei diritti tv e dei quasi quattordicimila abbonati - avrebbe dovuto metter mano per tempo alle risorse necessarie per accontentare il mister. Mosse di mercato utili non per una sua smania, ma per poter progettare e blindare almeno la salvezza. I tifosi meritano e si aspettano mosse precise. Una strategia che non sia, come in passato, frutto di una caccia esosissima di campioni oramai allo stremo, acciaccati e figurine vintage. Tutti a costo zero o in prestito, con pressanti ingerenze padronali sulla guida tecnica. Ma adesso, con un calendario che non ha fatto sconti, testa alla squadra di Juric. Il cuore della tifoseria batte forte.