Gigi Riva va per gli ottanta. Una storia di scelte, valori, attaccamento e serietà, quella del mancino più forte del calcio mondiale
di Mario Frongia
L’ultimo pensiero per il Natale 2023 è una maglia. Pesante, ricca di uomini, luoghi e storia: i 120 anni dell’Ilvamaddalena. Lui, posa con i dirigenti del club di La Maddalena e sorride di un sorriso stanco, quasi afflitto. Ma non è una novità. Gigi Riva è fatto così. Una roccia di uomo dal mancino maledetto che si commuove. Ma solo dentro. Capace di incatenare sentimenti ed emozioni. Da sempre lontano, per mentalità e metodi, a smancerie, abbracci, cerimonie. Il solito Riva, stimato e apprezzato anche per questo suo essere taciturno. “Tra me i sardi c’è molta affinità, chiacchieriamo poco e siamo riservati” ha ripetuto spesso. Il bomber rossoblù di tutti i tempi narra spesso l’aneddoto che riguarda l’incontro con Fabrizio De Andrè. “Avevo le sue canzoni registrate, prima di giocare le ascoltavo senza sosta e obbligavo anche Boninsegna e gli altri a cantarle! Un giorno, a Genova, ci siamo incontrati. Per mezz’ora siamo rimasti in silenzio. Poi, sia a me sia a Fabrizio, un goccio di whisky ci ha aiutato a scioglierci!”. L’attaccante inserito dalle riviste specializzate tra i più forti del ventesimo secolo, da oltre cinquant’anni detiene il record di gol con la nazionale, 35 in 42 partite. Più che un record un capitolo quasi indelebile di reti firmate ovunque con la maglia 11 addosso. Un colore per il quale ha dato due volte le gambe. Fratture e altro. Incidenti pesanti, con Portogallo e Austria, che avrebbero ammazzato un toro. Lui no. Si è rimesso in piedi ed è ritornato in campo. A primeggiare. Ma alla lunga, sul ritiro per un guaio muscolare nel 1976, in un match contro il Milan al Sant’Elia, tutto ha pesato. “Se non si fosse fatto male in nazionale, con Gigi avremmo vinto altri due scudetti: a Milano vincevamo 3-1 e Mazzola ci chiese di rallentare!” ricorda Beppe Tomasini, libero-capitano del Cagliari dello scudetto e amico fraterno di Rombo di tuono. Insomma, un dare tutto se stesso. E non sarebbe potuto essere altrimenti. Se dopo la finale di Città del Messico, persa 4-1 contro un Brasile stratosferico, Pelè ha commentato “guardate la faccia di Riva quando parte palla al piede, mette paura”, viene facile capire, anche ai tanti che non lo hanno visto giocare dal vivo, di cosa si stia parlando. Leader e uomo squadra, attento ai compagni meno abbienti (“Oggi dobbiamo vincere, con il premio partita Martiradonna deve finire di pagarsi la cucina” il messaggio a Brugnera e soci negli spogliatoi), ma anche al rispetto della terra che gli ha dato fiducia e affetto. Con testimonianze genuine di inclusione fin dal suo approdo da ragazzino di appena vent’anni.
La leggenda. Giggirriva tutto attaccato, avrebbe potuto guadagnare cifre immense, vincere trofei, girare il mondo, giocare con altri grandi campioni, disputare finali e confronti di alto profilo nel calcio internazionale. È rimasto a Cagliari. Ancora oggi, in un appartamento a pochi passi da via San Benedetto. Con la Scuola che porta il suo nome dedicata ai ragazzini. La ritrosia, l’amore e la forza per stare vicino a Nicola e Mauro, i figli avuti da Gianna Tofanari, e dalle nipoti. La foto pubblicata nei giorni scorsi sui social da Nicola ritrae la famiglia Riva in condivisione per le festività natalizie. Bene. Ma è l’intera Sardegna, e non solo, che un decennio dopo l’altro continua a tributargli applausi e omaggi: murales, film, statue, una anche di mattoncini Lego, iniziative, libri e tanto altro. Lui, semi nascosto dietro le nuvole di fumo delle sue sigarette, ha dalla sua anche l’attaccamento speciale verso i sardi, tifosi o meno. “Non scorderò mai una vecchina di un paese dell’interno: sul cornicione del caminetto aveva la foto di sant’Ignazio da Laconi e la mia!”, ha raccontato spesso. L’uomo che non si piega. Capace di lasciare il bus durante il tour per le vie di Roma con a bordo i campioni del mondo di Berlino 2006. Pur con decine di migliaia di tifosi lungo strada a incitare Pirlo e compagni, Riva non digerisce che siano saliti a bordo anche figure della politica che alla vigilia dei Mondiali si era scagliata contro la nazionale. “Gigi ci ha dato una lezione di coerenza e moralità” le parole di Francesco Totti. Sì, atti e valori. Gli stessi esaltati dal film del regista Riccardo Milani. Gli stessi che la buonanima di Gianni Mura, capo dello sport a Repubblica, aveva citato nel definirlo Hombre vertical. Capitoli indelebili di una vita a testa alta. Ecco, perché, con i 79 anni compiuti il 7 novembre scorso, l’augurio per il 2024 non può che ripassare dal via. Con auspici di buona salute e la certezza di saper tenere solido un profilo di serietà e compostezza. Auguri di buon anno, Gigi.